Come reagisce il cervello ad un braccio virtuale? Lo studio Santa Lucia IRCCS sull’Embodiment

Uno tra i sintomi più comuni quando si viene colpiti da una patologia del sistema nervoso, come ad esempio l’ictus, è la perdita della capacità di controllare gli arti. Il recupero di questa funzione è quindi uno tra gli obiettivi ricorrenti dei percorsi di neuroriabilitazione, sempre più spesso supportati efficacemente da tecnologie avanzate.

È il caso della Realtà Virtuale Immersiva, oggetto dello studio Feeling of ownership over an embodied avatar’s hand brings about fast changes of fronto-parietal dynamics, appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of NeuroscienceAutore il dottor Elias Casula, ricercatore del Laboratorio di Neuropsicofisiologia Sperimentale della Fondazione Santa Lucia IRCCS diretto dal neurologo prof. Giacomo Koch.

Insieme ai colleghi del Laboratorio di Neuroscienze Sociali guidato dal neurologo prof. Salvatore Maria Aglioti, lo scienziato ha osservato l’attività del cervello in soggetti posti a contatto con un braccio virtuale posizionato in modo realistico al punto da creare il cosiddetto embodiment, ossia l’illusione di possedere e controllare quell’arto.

Nella sperimentazione, alla creazione di un ambiente di realtà virtuale immersiva è stata affiancato l’impiego della Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS), che consente di stimolare in modo non invasivo specifiche regioni cerebrali, e dell’elettroencefalogramma (EEG) per registrare l’attività fisiologica del cervello.

Tramite queste due tecniche è stato possibile indagare l’attività della corteccia motoria, situata nel lobo frontale e deputata al movimento del braccio che il soggetto osservava virtualmente.

«L’esperimento ha mostrato come pochi secondi prima che il soggetto iniziasse a percepire il braccio virtuale come appartenente al proprio corpo – spiega il dottor Casula – l’attività della corteccia motoria diminuiva sensibilmente, come se il corpo stesse ‘abbandonando’ il braccio reale per ‘incorporare’ il braccio virtuale. Nello stesso tempo – prosegue il ricercatore – è stato trovato che le aree posteriori, dette parietali e responsabili della rappresentazione mentale dello schema corporeo, erano maggiormente attive e comunicanti con le aree deputate al movimento».

La deduzione finale è che a seconda di quanto è forte l’illusione di incorporazione del braccio virtuale, il nostro cervello abbandona il nostro braccio reale, con un decremento di attività della corteccia motoria.

Quali sono le implicazioni scientifiche e assistenziali di questa scoperta? Risponde il dottor Casula: «Questo fenomeno ci consente di capire come reagisce il nostro cervello all’embodiment di un arto esterno e quali caratteristiche quest’ultimo deve avere per essere più facilmente ‘incorporabile’: un’informazione essenziale, ad esempio, nello sviluppo di protesi per  arti esterni e nella neuroriabilitazione».

Fonte: hsantalucia.it